23/07/2025
L’intelligenza artificiale non è più una tecnologia del futuro: sta già modificando in modo sostanziale il modo in cui le imprese generano valore, gestiscono le risorse e organizzano il lavoro. Secondo il rapporto Censis-Confcooperative, entro il 2035 in Italia ben 15 milioni di lavoratori saranno esposti agli effetti dell’IA: per i 6 milioni rischiano la sostituzione, mentre altri 9 milioni potranno integrate i sistemi intelligenti nelle proprie attività quotidiane.
Un cambio di paradigma che è già in corso e rappresenta tanto una sfida quanto un’opportunità. Ma cosa significa, concretamente, per le imprese?
Lavori a rischio automazione
I ruoli più a rischio sono quelli basati su attività ripetitive, analisi tecniche e procedure standardizzate, che possono essere facilmente convertite in istruzioni per un sistema automatizzato. Tra queste figurano:
- Contabili
- Tecnici finanziari
- Statistici
- Esperti in controllo di gestione
- Periti assicurativi, valutatori di rischio
- Economi, tesorieri, ruoli di back office
Si tratta spesso di ruoli centrali nelle aziende, che rischiano però di essere rimpiazzati da software e sistemi IA capaci di svolgere compiti complessi in tempi ridotti. Le aziende sono chiamate a identificare le attività automatizzabili, investire nella riqualificazione delle risorse interne e introdurre nuove competenze in linea con le tecnologie emergenti.
Le figure professionali che integreranno l’IA
Non tutti i ruoli sono destinati a sparire. Al contrario, molte professioni potranno evolversi e trarre vantaggio dalle nuove tecnologie. Tra queste:
- Dirigenti amministrativi e finanziari
- Responsabili HR
- Avvocati e notai
- Magistrati
- Psicologi e consulenti
In questi casi, l’IA potrà potenziare la produttività, l’analisi e la decisione ma non sostituire il valore del pensiero critico, della strategia e delle relazioni umane.
Formazione e gender gap: chi è più esposto
Un aspetto significativo è la correlazione tra grado di istruzione e impatto dell’IA: maggiore è il titolo di studio, più alta è l’esposizione alle trasformazioni tecnologiche. Tra i lavoratori maggiormente esposti all’automazione, il 54% possiede un diploma, mentre il 33% ha conseguito un titolo universitario. Al contrario, chi potrà usare l’IA a complemento delle proprie mansioni è per il 59% laureato e per il 29% diplomato.
Le lavoratrici sono coinvolte in misura maggiore (54%), in quanto più frequentemente impiegate in professioni intellettuali soggette a un elevato potenziale di automazione.
Per le imprese questo significa: investire nella formazione continua è fondamentale, sia per riqualificare chi è a rischio, sia per valorizzare chi può guidare il cambiamento.
Adozione dell’IA in Italia
Nonostante le opportunità offerte, soltanto l’8,2% delle imprese italiane ha adottato attivamente soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, a fronte del 3,5% nella media UE e del 19,7% in Germania. Uno dei principali ostacoli all’innovazione in Italia è la forte presenza di micro e piccole aziende, spesso sprovviste delle risorse o delle competenze necessarie per affrontare il cambiamento tecnologico.
Anche nel campo della ricerca e sviluppo, l’Italia destina solo l’1,33% del PIL, ben al di sotto della media europea che si attesta al 2,33%. Un divario che pesa in termini di competitività internazionale.
L’obiettivo dell’Unione Europea è arrivare, entro il 2030, a una quota del 3% del PIL destinata a ricerca e sviluppo. Un traguardo che la Germania ha già superato, investendo il 3,15%, mentre la Francia, con il suo 2,18%, è avanti rispetto ad altri Paesi, ma ancora distante dal target europeo.
IA e produttività: un’occasione concreta per le aziende
L’intelligenza artificiale non è solo una minaccia. Se adottata strategicamente, può generare fino a 38 miliardi di euro di crescita del PIL nei prossimi 10 anni, pari a un aumento dell’1,8%.
Secondo un’indagine di Censis e Confcooperative, tra il 20% e il 25% dei lavoratori italiani utilizza strumenti di intelligenza artificiale per attività quotidiane come scrivere mail, messaggi, report o curriculum. L’adozione è maggiore tra i giovani (18-34 anni), segno di un cambiamento generazionale nelle competenze digitali. Un impiego strategico e mirato dell’intelligenza artificiale può trasformarsi in un fattore di vantaggio competitivo, migliorando efficienza operativa e capacità innovativa.
2030: un lavoratore su quattro sarà affiancato da una macchina
Secondo le previsioni, entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato. I settori più esposti saranno:
- Ristorazione (37%)
- Back office (36,6%)
- Produzione industriale (36%)
Sanità e ruoli manageriali saranno invece tra i meno impattati dall’automazione.
L’IA come scelta strategica
Per le imprese italiane, il vero tema non è se adottare l’IA, ma come farlo nel modo giusto. Le aziende più strutturate stanno già investendo: nel biennio 2025–2026, il 19,5% prevede di destinare budget a tecnologie legate all’IA (55% nel settore ICT). Le piccole e medie imprese, tuttavia, corrono il rischio di non tenere il passo con l’adozione tecnologica.
Come ha affermato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini:
“La persona deve tornare al centro del modello produttivo. L’intelligenza artificiale deve essere al servizio del lavoro, non il contrario.”